1 novembre 2011

Il Coraggio della Rana (bollita)

Da Head Hunter, a contatto con un discreto numero si persone ogni settimana, devo ammettere che noto con un po’ di preoccupazione - e con non poco fastidio personale - che sta crescendo una generazione numerosa di professionisti, e quindi di potenziali candidati, che fanno parte di una borghesia che non rischia. Che non inventa niente, che non si mangia la testa per imparare nuove cose, per esplorare nuovi mondi, per creare nuove opportunità per sé e per gli altri che gli stanno attorno. E non sto  parlando di una borghesia ‘finanziaria’ che fa soldi maneggiando i soldi degli altri, ma proprio di una generazione di ‘privi di coraggio’. 
Una generazione trasversale che abbraccia un’ampia fascia d’età. 
Mi chiedo cosa stia succedendo, non mi spiego perché si preferisca lo stare comodo (sì è proprio questo è il termine giusto) in un’azienda decotta e prossima allo sfascio rispetto invece al prendersi il rischio - assieme ad un bel po’ di soldi e magari di esperienza in più - di cambiare azienda, forse anche Regione, con la possibilità reale di operare in un ruolo professionalmente molto più ampio. Un po’ come la storia della rana bollita, la conoscete, no? Immaginate un pentolone pieno d’acqua fredda nel quale nuota tranquillamente una rana. Il fuoco è acceso sotto la pentola, l’acqua si riscalda pian piano. Presto diventa tiepida. La rana la trova piuttosto gradevole e continua a nuotare. La temperatura sale. Adesso l’acqua è calda. Un po’ più di quanto la rana non apprezzi. Si stanca, tuttavia non si spaventa. L’acqua adesso è davvero troppo calda. La rana la trova molto sgradevole, ma si è indebolita, non ha la forza di reagire. Allora sopporta e non fa nulla. Intanto la temperatura sale ancora, fino al momento in cui la rana finisce - semplicemente - morta bollita. Ovvio che se la stessa rana fosse stata immersa direttamente nell’acqua a 50° avrebbe dato un forte colpo di zampa e sarebbe balzata subito fuori dal pentolone salvandosi. Ecco, appunto, e allora cerco di spiegarmi cos’è che sta portando questa generazione verso la difesa del ‘posto’ rispetto alla ricerca del ‘lavoro’.
Però se queste “pulsioni” conservatoriste e risk-adverse si riaffacciano così prepotentemente, la colpa è anche delle aziende che, in linea generale, non hanno saputo dare buona prova di sé. Il mondo del management italiano, negli ultimi anni, non è stato proprio entusiasmante, programmi di formazione bloccati alle prime difficoltà finanziarie, piani di carriera promessi e non mantenuti - spesso indipendentemente dalle performance del manager - ristrutturazioni fatte più a vantaggio della Borsa che, realmente, del business. Capi del Personale che anziché il “resta affamato, resta folle” hanno continuamente passato il messaggio dello “stai manzo” (modo molto romano per dire a qualcuno di stare al suo posto). Ma se ci fosse anche dell’altro? Se fosse perché le famiglie, le scuole, le imprese soffocano la creatività e l’imprenditorialità - non voglio arrivare a dire la nascita di nuovi Steve Jobs, perché quelli fatti così una strada la trovano comunque - imponendo altri modelli culturali ed altre prospettive? Se fosse perché in un contesto così, tutti coccolati da mamma e papà e allisciati da prototipi di vita comoda, allora non conviene di rischiare di saltare fuori dalla pentola, di “restare affamati e folli”? 
Se davvero fosse così, allora non basta cambiare i governi o mettere qualche soldo in più nell’Istruzione (per quanto sempre utile), per dare un rapido cambio di marcia. Serve un cambio profondo di cultura, di spirito di vita,  un drammatico ampliamento della visione generale, serve il coraggio di lanciare uno sguardo al domani e di porsi davanti allo studio ed al lavoro in modo completamente diverso. Serve di ritrovare quel coraggio per il rischio che, dall’Impero Romano al Rinascimento, ha visto la nostra terra generare civiltà che hanno segnato la storia e dato al mondo geni.  Serve aiutare le persone a capire che alle volte il tuffo senza rete migliora la qualità del salto, e fa approdare in un posto migliore. Quale non lo so, ma certamente fuori dalla pentola.    
Marco M. Alemagna

16 ottobre 2011

Stay Hungry Stay Foolish...

Com'è forse normale che sia, oggi fa notizia il famoso discorso di Steve Jobs, Stay Hungry Stay Foolish. Noi di Open lo avevamo già postato nella nostra "razione mensile di Open Food per il Pensiero" del giugno 2008. Eccovi il testo, con gioia. E se volete vedere il video (dura circa 15 minuti) cliccate pure sul titolo del post.


Buona lettura!

Oggi voglio raccontarvi una storia che ho sentito. Una storia composta da tre diverse storie sulla vita di un uomo. Semplicemente, senza filtri. Tre storie. La prima storia ha a che fare con il collegare i punti.  La storia inizia prima che quest’uomo di cui raccontiamo sia nato. Sua madre l’aveva messo in adozione, con l’unica condizione che, chi lo avesse adottato, lo avrebbe mandato all’università.  
Raggiunti i diciassette anni, questo ragazzo iniziò a frequentare uno dei più cari college americani, per accorgersi ben presto però che non faceva per lui. E così, senza un’idea precisa di cosa fare del suo futuro decise di mollare, sperando che tutto sarebbe andato bene. Il minuto dopo che aveva mollato aveva smesso di partecipare alle lezioni che non lo interessavano, per iniziare a partecipare invece a quelle che gli sembravano molto più interessanti. Ovviamente non fu tutto rose e fiori, 
senza un college che lo ospitava dovette arrangiarsi a dormire sui pavimenti delle stanze degli amici che lo ospitavano, e ad attraversare la città la domenica  per fare un pranzo decente al tempio degli Hare Krishna. 
Però si divertiva, e la maggior parte di ciò che incontrò in quel periodo seguendo semplicemente la sua curiosità ed il suo intuito, si trasformò in qualcosa di estremo valore più tardi. Un esempio su tutti. Il college che aveva deciso di frequentare in questo modo più ‘rilassato’ aveva la migliore classe di calligrafia del paese. L’aver abbandonato i corsi regolari gli consentiva di partecipare a questo tipo di lezioni, e così imparò i vari caratteri, il serif, il sans-serif, come variare lo spazio tra i caratteri, 
e tutto ciò che rende grande un carattere.  
Niente di tutto ciò poteva sperare che avesse un utilizzo pratico nella sua vita. Ma, dieci anni più tardi, quando iniziò a disegnare il primo computer Macintosh , quelle lezioni tornarono a galla, e fu così che il Mac fu il primo computer ad avere dei caratteri bellissimi. Se non avesse partecipato a quel bizzarro corso al college il Mac non avrebbe mai avuto diversi font, e poiché pare che  Windows abbia copiato il  Mac…è probabile che nessun personal computer li avrebbe mai avuti.  
Ovviamente era impossibile collegare tra di loro tutti i puntini ai tempi del college, ma fu molto facile farlo guardandosi indietro 10 anni dopo. 
Non è possibile collegare i puntini guardando in avanti. Puoi solo farlo all’indietro, quindi devi aver fiducia che i puntini si collegheranno in qualche modo nel tuo futuro. Devi avere fiducia in qualcosa -  la pancia, il destino, il karma, qualsiasi cosa – perché credere che i puntini si collegheranno in fondo al cammino ti darà la fiducia di seguire il tuo cuore, anche quando ti porta al di fuori del solito percorso, e che questo, un giorno, farà la differenza. 
La seconda storia riguarda l’amore e la perdita. Il nostro uomo era stato fortunato a trovare ciò che amava fare presto nella vita. 
Aveva iniziato la sua azienda nel garage dei genitori a venti anni, lavorando duro fino a farla diventare un’azienda di 2 miliardi di dollari. 
Fino a che, a trent’anni, fu licenziato. 
Come si può essere licenziati dall’azienda che si è creata? Semplice, basta assumere un CEO, per poi divergere con lui sulla visione del futuro , trovarsi il board contro e si è fuori.  
Assieme ai sentimenti di ansia e depressione che ne seguirono, lentamente qualcosa iniziò a crescere in lui. Amava ancora quello che stava facendo. Era stato respinto,ma era ancora innamorato, così decise di ricominciare. 
Non poteva vederlo allora, ma essere licenziato era la cosa migliore che gli potesse succedere. La pesantezza del successo fu rimpiazzata dalla leggerezza di ricominciare di nuovo, con meno sicurezze su tutto. Fu reso libero di entrare in uno dei periodi più creativi della sua vita.  
E fu così che fondò due aziende di enorme successo che, guarda un po', furono acquistate dall'azienda da cui era uscito anni prima. Il nostro uomo fu subito sicuro che nulla di tutto questo gli sarebbe successo se non fosse stato licenziato tempo prima. Era una medicina amara, ma il paziente ne aveva bisogno.  Qualche volta le cose della vita ti colpiscono come un mattone sulla testa. Non bisogna allora perdere la fede. 
L’unica cosa che faceva andare avanti il nostro uomo era la passione per ciò che faceva. Trova quindi quello che ami, si disse, sia nel lavoro che nella vita privata. Il lavoro riempie inevitabilmente la maggior parte della nostra vita e l’unico modo per fare veramente un gran lavoro è amare ciò che si fa. E se ancora non l’hai trovato continua a cercare, non fermarti. Come tutte le cose del cuore saprai quando lo troverai, e come tutte le grandi relazioni migliorano man mano che gli anni passano. Quindi continua a cercare. Non fermarti.  
La terza storia ha a che fare con la morte. A circa 17 anni il nostro uomo lesse una frase che diceva. "Se vivi ogni giorno come fosse l’ultimo, un giorno, molto probabilmente, avrai ragione” la frase lo impressionò a tal punto da chiedersi ogni giorno allo specchio "Se oggi fosse il mio ultimo giorno, vorrei fare quello che sto per fare oggi?" E ogni volta che la risposta era un "no" per troppi giorni di seguito, sapeva di dover cambiare qualcosa. Ricordarsi di dover morire un giorno fu la cosa più importante che incontrò sulla sua strada per aiutarlo a fare le grandi scelte della vita, perché quasi tutto – le aspettative, l’orgoglio, la paura di fare delle brutte figure o di fallire – tutte queste cose cadono inevitabilmente una dopo l’altra davanti alla morte, lasciando solo ciò che è veramente importante. Ricordarsi di dover morire un giorno fu il modo migliore che conobbe per evitare di cadere nella trappola di pensare di avere qualcosa da perdere. Si è già indifesi. E non c’è ragione per non seguire il cuore. 
Certo, nessuno vuole morire, anche chi vuole andare in Paradiso non vorrebbe morire per andarci, eppure la morte è l’unica destinazione comune a tutti noi.  Ed è giusto che sia così perché la morte è la migliore invenzione della vita. È il più potente fattore di cambiamento; spazza via il vecchio per fare posto al nuovo. Drastico forse, ma vero. Il nostro tempo è limitato, quindi meglio non sprecarlo cercando di vivere la vita di qualcun altro. Sfuggite al dogma di vivere con il risultato del 'pensiero’ di altri. Non lasciate che il rumore delle opinioni altrui vi impedisca di ascoltare la vostra voce interna, il vostro cuore, il vostro intuito. Gli unici che sappiano veramente cosa vorreste essere. 

Quando quest’uomo era giovane c’era ancora in giro un giornale incredibile, si chiamava The Whole Earth Catalogue, ed era una specie di bibbia per la sua generazione, siamo alla fine degli anni ’60, una specie di  Google in carta 35 anni prima che Google vedesse la luce. Era qualcosa di idealistico che però, come tutte le cose, giunse alla fine del suo percorso. Nell’ultima edizione, in ultima pagina, c’era una foto con sotto una specie di messaggio di addio "Stay hungry, stay foolish." Resta affamato, resta folle. E ciò fu quello che quell’uomo si augurò per se stesso. 
Come saprete, ormai, quell'uomo è, era Steve Jobs, e trovate tutto il suo discorso su You Tube. 

Se avrete il coraggio, ovviamente, di correre il rischio di essere cambiati.  

9 maggio 2011

Il campionato finisce...e la metafora del calcio viene sempre in aiuto al Manager.

Pubblico con piacere questo articolo scritto dopo la figuraccia agli ultimi mondiali della nostra nazionale, in considerazione che il campionato di calcio si avvia alla fine ed è sempre frutto di spunti interessanti per il manager. 
Se è vero com'è vero, che le sconfitte di oggi possono diventare le vittorie di domani nel momento in cui servono ad imparare qualcosa, la squadra di Lippi eliminata come ultima del girone, ed alcuni suoi meccanismi di cui siamo stati spettatori, possono essere utilizzati come un'ottima metafora di quello che è il nostro paese oggi. Soprattutto se guardato dal punto di vista manageriale.  
Iniziamo da quelli che non sono stati convocati. Sia chiaro, ogni manager ha il diritto/dovere di scegliersi la propria squadra, e siccome l'Italia è terra di 60 milioni di Commissari Tecnici non entro neanche sullo scivolosissimo terreno di chi doveva essere portato in Sudafrica  e chi no. Ma una cosa mi ha colpito  dei commenti degli esclusi: tutti, ma proprio tutti, hanno dichiarato che non hanno la più pallida idea del perché non sono stati chiamati. Non gli è stato detto nulla, non sono stati chiamati e basta. Ora questo ci dice cosa? 
Ci conferma che il meccanismo del feedback è ancora uno sconosciuto nella nostra cultura. Che questo strumento fa un'enorme fatica a entrare nella nostra quotidianità come elemento da utilizzare per la crescita delle risorse.  Il punto non è, ripeto, chi si sceglie o chi si lascia a casa, ma bensì il fatto che se, a coloro che non sono stati selezionati ma che comunque fanno parte del patrimonio di risorse che il paese ha a disposizione (vogliamo esagerare? chiamiamolo il pool dei nostri talenti) non viene spiegato cosa gli manca e, quindi, cosa possono/devono fare per colmare il gap che gli consentirebbe di entrare nel giro più importante, inevitabilmente priviamo questo talento della possibilità di maturare e, magari, sbocciare domani, nel nome della miopia del risultato di oggi, e contemporaneamente l'organizzazione più ampia (in questo caso il Paese) della possibilità di disporre di un pool ampio di risorse qualificate da cui pescare nel tempo. Non basta dire "ci sarà tempo", perché equivale a procrastinare lavandosene le mani e rimandando il problema a chi verrà.
Altro punto, Lippi ha sempre detto di credere nella squadra, alle volte ha anche cercato di utilizzare la creazione  di un nemico esterno (ora i giornalisti, ora i politici) per cementare il gruppo e creargli una sorta di voglia di rivalsa personale alla stregua del migliore "ora ti faccio vedere chi sono io!". Ma la realtà è che alla fine ha usato solo il cuore (e certo gli va dato atto della generosità di questo gesto) ma ha completamente trascurato il cervello. La passione da sola, senza un'analisi razionale ed approfondita, non basta mai, ci fa continuare ad essere o troppo romantici, o troppo annebbiati, o troppo testardi o, peggio, chiusi. E qui si riconosce un altro dei punti deboli di alcuni dei nostri manager: pensare che basti dire che siamo un Paese di creativi, la nostra riluttanza alla pianificazione, la quasi incapacità di fissare per sé e per gli altri degli obiettivi e il quasi fastidio di controllarli strada facendo. 
Un esempio? Siamo onesti, per quanti dei nostri manager, ancora oggi, il performance management è un sano rompimento di scatole? E da dove parte il performance management se non dal fissare obiettivi concreti e misurabili?  Come diceva un mio vecchio amico: se non sai dove andare qualsiasi strada va bene...
Terzo punto. La regolare e costante sottovalutazione dell'avversario, del mondo esterno, ancora peggio se di tratta di mondo nuovo. Nuova Zelanda, Slovacchia, Paraguay (le squadre del girone che abbiamo incontrato e che ci hanno fermato) dalla maggior parte del paese considerati alla stregua di pellegrini rispetto a noi "che abbiamo il blasone" e che invece, con una maggiore organizzazione ci hanno fatto fare, regolarmente, la figura dei fessi. E questo modo di fare è tipico di quella cultura che porta molti di noi ad abbracciare quella scuola di pensiero che ha trovato un giorno la sua essenza in uno striscione esposto allo stadio: "Quando voi eravate ancora sugli alberi, noi eravamo già froci!." Appunto.
Quarto e ultimo punto e che, in qualche modo, chiude il cerchio con il primo: questo continuo fare affidamento sui vecchi, su quelli fidati, sui collaudati, sui docili, su quelli che si pensa di poter controllare, salvo poi accorgersi nel momento in cui la realtà chiama (perché la realtà chiama sempre prima o poi...) che questi non si reggono in piedi, che non tengono il passo di avversari più giovani e  affamati. La nostra riluttanza endemica a relegare i giovani a ruoli di eterna comparsa.
Certo, le fotografie, o per lo meno questo tipo di fotografie, servono a qualcosa nel momento in cui indicano una strada diversa verso un futuro migliore, diversamente, sono polemica, e quindi a noi che abbiamo il privilegio, l'onore e l'onere di poter influire positivamente, come uomini e donne di Risorse Umane, sul management delle nostre azienda, spetta il compito di prendere la leadership su questi temi, e aiutare, spingere, stimolare, guidare il cambiamento.
Perché se le conseguenze delle mancanze del "sistema Lippi" (passatemi il neologismo) sono immediatamente visibili e dolorose come una ferita che sanguina, le conseguenze di questo stesso tipo di superficialità su di un sistema paese o su di una azienda sono più sotterranee e pericolose, ed agiscono sotto pelle, minando le basi della crescita, proprio come fa un tumore.
E se da una parte c'è solo in gioco la quinta stella su di una maglietta da calcio azzurra, dall'altra c'è in gioco il nostro presente e, vista la velocità a cui va il mondo di oggi, il futuro prossimo nostro e dei nostri figli. 
Perché, come disse il Barbaro Brenno riscuotendo il suo riscatto dai Romani, "vae victis". Guai ai vinti. Alè!

13 febbraio 2011

Y Generation - Miti, Comportamenti & Bisogni

Iniziamo il percorso della nostra semina HR per il 2011 con uno sguardo sulla famigerata Generazione Y (i nati dal 1982 in poi per capirci). Chi ha avuto modo di selezionarli o di lavorarci assieme sa che il challenge è uno di quelli tosti, ma non per questo non va affrontato, anzi.

Certo, il seme è uno di quelli che, una volta piantato, darà i suoi frutti in là nel tempo (e non è forse anche per questo che si piantano ancora oggi piante di ulivo?) ma forse alcuni di questi frutti sono di più immediato raccolto di quello che si potrebbe pensare.

Interessante sia la ricerca dettagliata che trovate sul link dell'Università inglese di Ashridge, vale la pena di darci un'occhiata, così come il video che trovate qui sotto, 4 minuti di sorprese.

Cliccate sul Link e, come al solito, vi si aprirà un mondo...