4 novembre 2012

Ripartire dai Propri Sogni da Bambino?


Ricordo che appena entrato in azienda - si era all’inizio degli anni ’90 - sentivo spesso parlare di Vision e Mission, si partecipava a riunioni infinite per definirle, e se ne usciva sempre tronfi e convinti di aver iniziato il viaggio per conquistare la Luna. Oggi invece se ne sente parlare decisamente di meno. Sarà che il quotidiano è diventato nella percezione di tutti così spaventoso (ma lo sarà poi davvero?) che parlare di Vision in azienda, quando l’unità di misura è diventata il Next Quarter, appare poco pratico. Ma che fare, allora? L’unica possibilità è, davvero, sopravvivere sperando che tutto passi? Certo che no, anche dentro queste difficoltà io, noi, esistiamo comunque ed allora vale la pena ‘riconnettersi‘ con alcuni dei basics che fanno la differenza. Uno di questi è certamente riprendere in mano la nostra esistenza magari, perché no, rispolverando alcuni dei sogni che avevamo da bambini. Non a caso l’immagine che vedete è il disegno che - si dice - aveva fatto  Baumgartner, l’uomo che poi da grande ha battuto il record del volo.  
La bellezza dell'infanzia è che i sogni non hanno limiti o barriere. E voi, ricordate qual era il vostro sogno da bambino? Provate per un attimo a rivivere quel momento della vostra vita quando tutto era possibile e non c’erano barriere. 
La realtà è che...non è cambiato niente! Tutto è ancora possibile, ma solo se noi ci crediamo veramente. È ciò che uccide i sogni non è di certo la realtà, è solo la nostra convinzione che i sogni non si potranno realizzare. Oggi allora vorrei condividere con voi 5 modi per 'rivitalizzare' i vostri sogni di bambino e provare a dare nuova linfa all’esistenza.

1. Provate ad ascoltare qualcosa che vi ispiri e vi motivi la mattina. Sul web ci sono centinaia di File audio a disposizione, ed il beneficio è duplice in quanto da una parte aumenterà la vostra convinzione di poter raggiungere risultati che fino ad allora pensavate impossibili, e dall'altro vi insegnerà dei metodi pratici per far sì che le cose accadano (vi consiglio audible.com) . E poi leggete, leggete e leggete ancora, soprattutto libri su come migliorare se stessi e, perché no, su come raggiungere il successo. Evitate gli autori italiani (troppo cervellotici ed auto referenziali) e concentratevi sugli americani (imbattibili in questo campo). Il vantaggio che ne trarrete sarà di aumentare la vostra sensazione che non ci sono limiti se non quelli che ci imponiamo noi stessi, e al contempo vi fornirà degli strumenti pratici. Troverete così ispirazione, imparerete e motivazione all'azione.
2. Fatevi la domanda "che cosa voglio farne della mia vita?" e non accettate un "non lo so" come risposta. Piuttosto continuate a chiedervelo ostinatamente ed agite in modo da darvi una risposta. Scoprire i nostri sogni è un viaggio che richiede un passo ogni giorno. E se non sapete da dove cominciare vi suggerisco una “serie di letture”che vi aiuteranno.
3. Socializzate con gente di successo. Il successo è contagioso,affiancatevi a persone positive, energetiche, in modo che questi vi trasmettano, quasi per osmosi,  il senso che tutto è possibile, che vi incoraggino e credano nei vostri sogni anziché aiutarvi a smontarli in nome di un non si sa quale buonsenso o 'sano senso della realtà'. Rendete il positivo parte della vostra vita. I negativi, datemi retta, lasciateli a casa...
4. Focalizzateli sul  “Come?” e non chiedetevi se le cose sono possibili. Non cercate scuse, non pensate ai problemi ed agli ostacoli. Focalizzatevi su come potete raggiungere il vostro obiettivo di realizzare il vostro sogno. Questo atteggiamento farà di voi, sempre di più, una persona orientata alle soluzioni. E sono le persone orientate alle soluzioni che “make big things happen”.
5. Fatevi continuamente, rispondendovi, la seguente domanda: cosa posso imparare da ciò che sto vivendo? Esiste sempre l’opportunità di imparare qualcosa da ogni situazione. Anche quando incontrate un fallimento - chi non fallisce? - chiedetevi, isolando ogni giudizio, “Perché non ha funzionato? Cosa devo cambiare?” e focalizzatevi sul vostro comportamento, non su quello degli altri, perché è solo sul nostro comportamento che possiamo intervenire. E fate lo stesso quando ottenete un successo: “Cosa ha funzionato? Cosa devo continuare a fare?”
Quando si intraprende la strada che ci porta a seguire il nostro sogno di bambino è fondamentale avere una fortissima confidenza sui propri mezzi. A proposito del suo diesgno Baumgartner dice: «È interessante vedere dove possono portarti i tuoi desideri se rimani focalizzato e non molli mai, anche quando ti sembra dura».
Ecco, una nuova vita possibile per la “Vision” più moderna, partire dalla nostra.     

14 ottobre 2012


Con l'autunno inizia a mancarmi una serie di cose, tipo i vantaggi dell’ora legale, la sabbia in spiaggia e i film vecchi che riempiono le serate televisive, tipo quelli con Bud Spencer e Terence Hill, generalmente calmi e paciosi, ma capaci di rivoltare il mondo quando si arrabbiavano o quando ne valeva la pena per raddrizzare le cose. Ed in genere lo facevano per una buona causa. 
Una sorta di evocazione del concetto “quando il gioco si fa duro i duri cominciano a giocare” (cercate su internet e sarete sorpresi non poco sullo scoprire chi sia stato l’autore di questa frase...).
 E siccome questi sono tempi innegabilmente duri, e allora è giusto che siano i duri a sopravvivere. Un po’ di piazza pulita, come una bella febbre, alle volte fa bene alla crescita. Di tutti. Basta allora con i candidati mosci e con quelli che non sanno vedere le opportunità, e aiutiamo anche ad uscire dalle secche certi HR che non sanno    

Il calcio come specchio del paese. Siamo davvero così?


Ricordate i Campionati Europei appena trascorsi? L’inizio stentato, i rigori con l’Inghilterra, la vittoria con la Germania poi la tranvata in finale contro la Spagna. Come sempre il calcio ci ha offerto un punto di osservazione “sociologico” - unico nel panorama mondiale - sul nostro Paese.
La prima domanda che mi viene in mente è se abbiamo tutti capito, davvero, come dice Prandelli, che l’Italia del pallone rappresenta l’Italia reale, un paese vecchio con idee vecchie. Ricordate la pareggite del girone di qualificazione, quelle partite tanto fumo e poco arrosto? Lo scoprirsi improvvisamente non attrezzati per correre tutti i novanta minuti come se fosse improvvisamente una sorpresa che le partite durino 90’ se non di più... L’Italia (sul campo) che ha pareggiato le prime due partite 1-1 è un’Italia che ha avuto delle opportunità incredibili e che non le ha sfruttate. E come non paragonare questa Italia del calcio all’Italia che vediamo tutti i giorni davanti ai nostri occhi, al bar, per strada, in vacanza, in azienda? Un paese pieno di opportunità misteriosamente non raccolte o raccolte male, impregnata della filosofia “prendi i soldi e scappa” (e provate a pensare quanto stride questo concetto con l’ ‘inspire a generation’ delle Olimpiadi di Londra. Pensiamo, as esempio, al turismo. Tempo fa ad un convegno un rappresentante del Ministero disse che l'Italia è lo stato che possiede, al mondo, il più ampio patrimonio artistico. Sosteneva che nel nostro paese si trova circa il 40% circa del patrimonio artistico e culturale mondiale. Fece una pausa poi, improvvisa, una domanda: “Eppure, quando qualcuno ha un figlio a cui proprio non va di studiare, a quale scuola superiore pensa di mandarlo?” La risposta della platea, quasi unanime, fu: l’Istituto Alberghiero! 
E lo stesso avviene alle aziende quando cercano Talento. E, frustrate, ne trovano poco. È come se tutti ci lamentassimo di non poter raccogliere frutti da un albero che, però, nessuno si è mai ricordato di piantare. 
Tornando agli Europei e al calcio ad un certo punto il tema era stato che bisognava sperare che non ci facessero ‘il biscotto’, che qualcun altro nel nostro girone non ci fregasse mettendosi d’accordo per combinare un certo risultato che ci avrebbe buttato fuori comunque. Ed eccoci qua piombare tutti quanti nella cultura della lamentela e dell’emergenza, anche nel pallone. Ma non bastava l’emergenza quotidiana in cui viviamo da un po’? È come se preferissimo dimostrare di essere bravi a mandare le tende, dopo, piuttosto che a costruire bene i le case prima. Da anni continua questa italica caratteristica di dare la responsabilità di quello che ci succede, sempre all’esterno, sempre agli altri. Durante la finale addirittura il commentatore si lamentava - notando l’evidente calo fisico dei giocatori - delle troppe partite ravvicinate. Come fosse una sorpresa, come se non si sapesse prima (avete presente quelli che il 24 dicembre, ancora senza regali, si stupiscono che il giorno dopo è Natale?).
E diventiamo automaticamente dipendenti, se non succubi, di questo modo di pensare, come se i colpevoli fossero sempre altri, come se le responsabilità non spettassero mai a noi. Come se il potersi trovare in una situazione favorevole non fosse mai frutto del merito ma sempre solo della fortuna sfacciata, del caso, di chi si conosce... 
Ecco, credo di aver capito che nel nostro paese abbiamo un gigantesco problema con il ‘merito’, non lo riteniamo praticamente possibile, troppo difficile da misurare, e anche quando è evidente non lo accettiamo. Il nostro gigantesco ego personale, che si tramuta in un SuperEgo nazional-collettivo ci impedisce di ammettere che gli altri siano più bravi di noi (quanti bonus, aumenti salariali, piani di crescita in azienda vediamo passati sotto banco per non urtare sensibilità, invece che evidenziati per essere assunti a modello?). No, se gli altri ce la fanno è perché sono stati aiutati, forse - anzi sicuramente - è più facile aggrapparsi a questa convinzione che immaginare che prima del successo c’è l’impegno, la fatica, la resilienza. E non è forse sintomo di maturità questa? 
Tutto attorno, sempre più spesso, lascia pensare che è come se avessimo deciso di abdicare e di non essere più padroni del nostro destino, preferendo diventare sudditi speranzosi che altri non decidano di scegliere il loro tornaconto piuttosto che il nostro sacrificio. 
Pare che negli ultimi vent’anni è stato come se avessimo dormito e improvvisamente, ci siamo svegliati sull’orlo di un baratro che, come in un film di Indiana Jones, si allarga sotto i nostri piedi, inseguendoci, mentre tentiamo di scappare. Eppure di gente in gamba ne vedo tanta attorno a me, bisogna solo trovare il coraggio di uscire fuori da una mentalità da mediocri, da congetture da perdenti, e ritrovare orgoglio e coraggio con la consapevolezza che Balotelli non è Obama.                              

4 marzo 2012

Il nostro Talento, un dono da saper gestire.


Amy Winehouse, Cassano, Whitney Huston,  grandi artisti nel loro specifico campo - anche se ognuno a modo suo -, ma anche grande talento sprecato. 
E che cosa ci lascia in bocca il talento sprecato quando ci confrontiamo con esso? Un senso di disagio, di rabbia e di disappunto, ma giudicare senza capire non aiuta perché  se, come recitava De Niro in Bronx “Non c’è niente di peggio che il talento sprecato”, è anche vero che spesso il potenziale incredibile che ognuno di noi ha, rimane inespresso per poca autostima, perché ci si è fatti ingabbiare in qualche modo dalla cultura moderna, in particolare da uno dei suoi aspetti più micidiali, ovvero il far pensare che sia l’unica cultura possibile. 

Ognuno di noi è un capolavoro inenarrabile e dovremmo uscire dalla tentazione (dalla schiavitù) del pensier0 che oramai la situazione è irreversibile. Ognuno di noi è il leader di se stesso.
E proprio oggi, il 4 marzo, come non pensare al gigantesco talento di un Uomo come Lucio Dalla che il suo talento, appunto, ha saputo gestirlo e farlo fruttare in modo eccezionale anche sapendosi donare agli altri, senza mai risparmiarsi, senza capricci, senza secondi fini. Un po' come quel servitore della parabola del Vangelo, che presentatosi al suo padrone disse "Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco ne ho guadagnati altri cinque". "Bene, servo buono e fedele - gli disse il suo padrone - sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto...perché a chiunque ha sarà dato e sarà nell'abbondanza, ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha."

Grazie Lucio. 

1 febbraio 2012

I Segreti dell'HR: come scrivere bene.


A HR capita spesso di scrivere, siano mail o comunicati, e ne va spesso della nostra credibilità. Allora pubblico con piacere questo elenco di piccoli suggerimenti, raccolti da Umberto Eco, che ho trovato tempo fa. Sono molto popolari tra writer americani e li condivido con piacere, sapendo che nel tempo e nei vari passaggi si è perso chi sia l'autore, ma l'efficacia non ne risente.
  1. Evita le allitterazioni, anche se allettano gli allocchi.
  2. Non è che il congiuntivo va evitato, anzi, che lo si usa quando necessario.
  3. Evita le frasi fatte: è minestra riscaldata.
  4. Esprimiti siccome ti nutri.
  5. Non usare sigle commerciali & abbreviazioni etc.
  6. Ricorda (sempre) che la parentesi (anche quando pare indispensabile) interrompe il filo del discorso.
  7. Stai attento a non fare... indigestione di puntini di sospensione.
  8. Usa meno virgolette possibili: non è “fine”.
  9. Non generalizzare mai.
  10. Le parole straniere non fanno affatto bon ton.
  11. Sii avaro di citazioni. Diceva giustamente Emerson: “Odio le citazioni. Dimmi solo quello che sai tu.”
  12. I paragoni sono come le frasi fatte.
  13. Non essere ridondante; non ripetere due volte la stessa cosa; ripetere è superfluo (per ridondanza s’intende la spiegazione inutile di qualcosa che il lettore ha già capito).
  14. Solo gli stronzi usano parole volgari.
  15. Sii sempre più o meno specifico.
  16. L'iperbole è la più straordinaria delle tecniche espressive.
  17. Non fare frasi di una sola parola. Eliminale.
  18. Guardati dalle metafore troppo ardite: sono piume sulle scaglie di un serpente.
  19. Metti, le virgole, al posto giusto.
  20. Distingui tra la funzione del punto e virgola e quella dei due punti: anche se non è facile.
  21. Se non trovi l’espressione italiana adatta non ricorrere mai all’espressione dialettale: peso el tacòn del buso.
  22. Non usare metafore incongruenti anche se ti paiono “cantare”: sono come un cigno che deraglia.
  23. C’è davvero bisogno di domande retoriche?
  24. Sii conciso, cerca di condensare i tuoi pensieri nel minor numero di parole possibile, evitando frasi lunghe — o spezzate da incisi che inevitabilmente confondono il lettore poco attento — affinché il tuo discorso non contribuisca a quell’inquinamento dell’informazione che è certamente (specie quando inutilmente farcito di precisazioni inutili, o almeno non indispensabili) una delle tragedie di questo nostro tempo dominato dal potere dei media.
  25. Gli accenti non debbono essere nè scorretti nè inutili, perchè chi lo fà sbaglia.
  26. Non essere enfatico! Sii parco con gli esclamativi!
  27. Neppure i peggiori fans dei barbarismi pluralizzano i termini stranieri.
  28. Scrivi in modo esatto i nomi stranieri, come Beaudelaire, Roosewelt, Niezsche, e simili.
  29. Nomina direttamente autori e personaggi di cui parli, senza perifrasi. Così faceva il maggior scrittore lombardo del XIX secolo,l’autore del 5 maggio.
  30. All’inizio del discorso usa la captatio benevolentiae, per ingraziarti il lettore (ma forse siete così stupidi da non capire neppure quello che vi sto dicendo).
  31. Cura puntiliosamente l’ortograffia.
  32. Inutile dirti quanto sono stucchevoli le preterizioni.
  33. Non andare troppo sovente a capo.
  34. Almeno, non quando non serve.
  35. Non usare mai il plurale majestatis. Siamo convinti che faccia una pessima impressione.
  36. Non confondere la causa con l’effetto: saresti in errore e dunque avresti sbagliato.
  37. Non costruire frasi in cui la conclusione non segua logicamente dalle premesse: se tutti facessero così, allora le premesse conseguirebbero dalle conclusioni.
  38. Non indulgere ad arcaismi, hapax legomena o altri lessemi inusitati, nonché deep structures rizomatiche che, per quanto ti appaiano come altrettante epifanie della differenza grammatologica e inviti alla deriva decostruttiva – ma peggio ancora sarebbe se risultassero eccepibili allo scrutinio di chi legga con acribia ecdotica – eccedano comunque le competenze cognitive del destinatario.
  39. Non devi essere prolisso, ma neppure devi dire meno di quello che una frase compiuta deve avere.

15 gennaio 2012

Le Sfide davanti a noi e all'Italia: un approccio per affrontarle.

Io amo questo paese.  
Mi piace la sua gente, quelli del sud, del centro, del nord e pure quelli delle isole. La mia famiglia è qui, così come lo sono le persone, i luoghi e le cose che mi sono cari. Mi piace il panorama, mi piace il clima, mi piace la varietà che solo noi sappiamo rappresentare. Mi piacciono i punti di forza che abbiamo (che sono tutti eccezionali!) e pure le aree di miglioramento (che sono alle volte imbarazzanti), ma tant'è. 
Qui è dove ho deciso di aprire la mia azienda, di investire il frutto del mio lavoro, di influire sulle persone che mi circondano, e sulla società che 'abito'. Certo ci sono molte cose che non mi piacciono, ma piuttosto che fare come quel vecchietto che, immobile, con mani dietro la schiena scuote la testa di fianco al tizio che, avendo appena bucato, sta cercando di cambiare una ruota, dicendo "non ce la fa, non ce la può fare...", ho deciso invece di fare come quello che, consapevole del rischio di potersi "sporcare le mani" si piega, arrotola le maniche della camicia e chiede “come posso rendermi utile?”
In pratica, scelgo. 
Scelgo consapevole del fatto che tra lo 'stimolo' che ricevo - ciò che vediamo, che osserviamo, che accade a noi ed intorno a noi - e la risposta che decido di dare esiste uno spazio. Ed in questo spazio abita la nostra libertà di scegliere la nostra risposta. Ed è proprio dalle risposte che decidiamo di dare che dipende la nostra crescita e la nostra felicità. É in questo spazio che si realizza la nostra libertà di esseri umani e, inevitabilmente, di manager.
Nell'anno appena trascorso abbiamo affrontato temi importanti, abbiamo parlato di leadership, di consapevolezza (pensate alla storia della rana bollita), del coraggio che deve prendere HR e chiunque sia in una posizione di leadership di alzare la testa e cominciare a cambiare quelle cose che in azienda sono palesemente sbagliate e disallineate con quello che è giusto. 
Di temi altrettanto interessanti e sfidanti parleremo nel corso di quest'anno, e sempre con la consapevolezza che è complicato identificare in assoluto cosa è giusto e cosa non lo è, ma ciò nonostante credo fortemente che ci siano dei principi di 'legge naturale' come l’onestà, l’integrità, la coerenza, la forza creativa, il coraggio di guardare alle cose con lo ‘sguardo del bambino’, che meritano di essere sempre e comunque portati avanti. Ad ogni costo.

1 novembre 2011

Il Coraggio della Rana (bollita)

Da Head Hunter, a contatto con un discreto numero si persone ogni settimana, devo ammettere che noto con un po’ di preoccupazione - e con non poco fastidio personale - che sta crescendo una generazione numerosa di professionisti, e quindi di potenziali candidati, che fanno parte di una borghesia che non rischia. Che non inventa niente, che non si mangia la testa per imparare nuove cose, per esplorare nuovi mondi, per creare nuove opportunità per sé e per gli altri che gli stanno attorno. E non sto  parlando di una borghesia ‘finanziaria’ che fa soldi maneggiando i soldi degli altri, ma proprio di una generazione di ‘privi di coraggio’. 
Una generazione trasversale che abbraccia un’ampia fascia d’età. 
Mi chiedo cosa stia succedendo, non mi spiego perché si preferisca lo stare comodo (sì è proprio questo è il termine giusto) in un’azienda decotta e prossima allo sfascio rispetto invece al prendersi il rischio - assieme ad un bel po’ di soldi e magari di esperienza in più - di cambiare azienda, forse anche Regione, con la possibilità reale di operare in un ruolo professionalmente molto più ampio. Un po’ come la storia della rana bollita, la conoscete, no? Immaginate un pentolone pieno d’acqua fredda nel quale nuota tranquillamente una rana. Il fuoco è acceso sotto la pentola, l’acqua si riscalda pian piano. Presto diventa tiepida. La rana la trova piuttosto gradevole e continua a nuotare. La temperatura sale. Adesso l’acqua è calda. Un po’ più di quanto la rana non apprezzi. Si stanca, tuttavia non si spaventa. L’acqua adesso è davvero troppo calda. La rana la trova molto sgradevole, ma si è indebolita, non ha la forza di reagire. Allora sopporta e non fa nulla. Intanto la temperatura sale ancora, fino al momento in cui la rana finisce - semplicemente - morta bollita. Ovvio che se la stessa rana fosse stata immersa direttamente nell’acqua a 50° avrebbe dato un forte colpo di zampa e sarebbe balzata subito fuori dal pentolone salvandosi. Ecco, appunto, e allora cerco di spiegarmi cos’è che sta portando questa generazione verso la difesa del ‘posto’ rispetto alla ricerca del ‘lavoro’.
Però se queste “pulsioni” conservatoriste e risk-adverse si riaffacciano così prepotentemente, la colpa è anche delle aziende che, in linea generale, non hanno saputo dare buona prova di sé. Il mondo del management italiano, negli ultimi anni, non è stato proprio entusiasmante, programmi di formazione bloccati alle prime difficoltà finanziarie, piani di carriera promessi e non mantenuti - spesso indipendentemente dalle performance del manager - ristrutturazioni fatte più a vantaggio della Borsa che, realmente, del business. Capi del Personale che anziché il “resta affamato, resta folle” hanno continuamente passato il messaggio dello “stai manzo” (modo molto romano per dire a qualcuno di stare al suo posto). Ma se ci fosse anche dell’altro? Se fosse perché le famiglie, le scuole, le imprese soffocano la creatività e l’imprenditorialità - non voglio arrivare a dire la nascita di nuovi Steve Jobs, perché quelli fatti così una strada la trovano comunque - imponendo altri modelli culturali ed altre prospettive? Se fosse perché in un contesto così, tutti coccolati da mamma e papà e allisciati da prototipi di vita comoda, allora non conviene di rischiare di saltare fuori dalla pentola, di “restare affamati e folli”? 
Se davvero fosse così, allora non basta cambiare i governi o mettere qualche soldo in più nell’Istruzione (per quanto sempre utile), per dare un rapido cambio di marcia. Serve un cambio profondo di cultura, di spirito di vita,  un drammatico ampliamento della visione generale, serve il coraggio di lanciare uno sguardo al domani e di porsi davanti allo studio ed al lavoro in modo completamente diverso. Serve di ritrovare quel coraggio per il rischio che, dall’Impero Romano al Rinascimento, ha visto la nostra terra generare civiltà che hanno segnato la storia e dato al mondo geni.  Serve aiutare le persone a capire che alle volte il tuffo senza rete migliora la qualità del salto, e fa approdare in un posto migliore. Quale non lo so, ma certamente fuori dalla pentola.    
Marco M. Alemagna