12 dicembre 2010

Costruire l'HR Capability per il 2011


Ci siamo, arriva la fine del 2010 e per l'HR arriva il momento di ragionare sui piani del 2011. Da oggi allora iniziamo a piantare una serie di piccoli semi che, mi auguro, saremo capaci di far crescere l'anno che viene.
E già, perché fra tutte le funzioni affrontate quest'anno, il messaggio più forte che ho ricevuto (e che è poi uno dei motivi ispiratori della nascita di questo blog) è che c'è un disperato bisogno per la funzione HR di costruire la propria capability per aiutare il business ad affrontare le sfide del domani. E poiché molte di queste sfide oggi non hanno ancora forma né noi abbiamo ancora una reale idea di a cosa assomigliano, proviamo assieme a definire un probabile scenario futuro per l'HR:

- Gli HR Business Partners collaborano con i leader del business nell'elaborazione della strategia e guidano lo sviluppo di quelle competenze chiave che servono alla sua realizzazione.
- La fornitura dei servizi HR è segmentata e guidata secondo criteri effettivi di creazione del valore assegnati poi a persone e team competenti.
- Supporto alla creazione di una teconologia di livello che consenta interazioni tra i dipendenti e l'azienda più efficaci, e guidate dai dipendenti stessi in modo da "liberare" ore essenziali che possono essere re-indirizzate in modo più efficace verso quella parte della forza lavoro più critica.
- HR guida la fase di attrazione, coinvolgimento e schieramento globale degli specialisti, e dei talenti in grado di saper cambiare realmente la partita, magari per aprire nuovi mercati o influenzare in modo positivo l'azienda.

30 novembre 2010

Una Targa per la Scrivania del Leader

Come leader  (la qualità più richiesta agli HR oggi) che cosa ci vorreste vedere scritto su una targa che potreste farvi regalare a Natale dal vostro team, per appenderla sul muro o metterla in bella mostra sulla scrivania?


Sono anni che colleziono ed analizzo frasi di questo tipo. Mi hanno sempre intrigato, alcune di loro sono diventate un ispirazione anche per me. L'America è piena di storie di gente partita come lustrascarpe e poi diventata multimilionaria. Uno di questi, W. Clement Stone, deve il suo successo a 3 parole: Do It Now. E voleva che ogni persona che lavorava per lui le avesse sempre davanti a sé. Eccovi allora le mie top 14.

1. “Si può fare!” —Ronald Reagan sulla sua scivania nella Stanza Ovale.
I leader sono ottimisti, positivi, energetici e Reagan era conosciuto per la sua capacità di esprimere idee in un modo chiaro ed eloquente.

2. “Niente Lagne” —CEO, Southwest Airlines.
Le vittime in genere si lamentano ed incolpano gli altri. I leader alle volte possono scoraggiarsi, ma non indossano mai i panni della vittima.





3. Bill Gates ha una foto di Henry Ford nel suo ufficio. Ma ce l'aveva per ricordarsi di non comportarsi mai come Ford, uno che ascoltava poco i suoi clienti e che diceva: "Any customer can have a car painted any colour that he wants so long as it is black."





4. “I dollari cominciano qui!” —Donald Trump, sulla sua scrivania. 
I leaders vedono le opportunità ed agiscono. I non-leader contemplano solo lo status quo e se ne stanno fermi. 

5. "Sii conciso. Sii Brillante. Sii Veloce" — CEO, Twist Image.
I leader che sanno essere chiari e concisi risultano più credibili e più brillanti. 

6. “Inizia a Parlare e Lavora” 
Avete letto bene, i leader passano una significativa quantità del loro tempo a parlare e ad ascoltare le persone. Sollecitare, proporre, incoraggiare, vendere, mettere in dubbio, ascoltare, esplorare e scavare a fondo.





7. "Un designer sa di aver raggiunto la perfezione quando non c'è più nulla da aggiungere, ma anche quando non c'è più nulla da togliere."—Antoine de Saint-Exupery”—Sulla scrivania di Michael S. Hyatt, CEO, Thomas Nelson Publishers.
I leaders rimuovono le cose inutili, così che le grandi idee possano risaltare.

8. Hatim Tyabji, Presidente e CEO di VeriFone — sul muro del suo ufficio ha un poster costituito da dodici parti, ognuno con una foto di un setter irlandese. Nelle prime 11 foto c'è il cane in piedi che non risponde ai comandi di star seduto. Nella dodicesima foto, il setter irlandese si siede. ""Bravo cane" c'è scritto sotto.
Hatim sostiene "Questa è l'essenza della leadership. Non mi demoralizzo quando dico 'seduto' e nessuno mi dà retta. Continuo solamente a ripetere il messaggio. I leader devono essere chiari, consistenti e ripetitivi. Continua a ripetere il messaggio fino a che viene resta impresso."

9. “Sii Realista, chiedi l'Impossibile” 
I leader sono gente che pretende! Si aspettano di più di quello che gli altri pensano sia generalmente possibile. Credono che la maggiorparte delle persone hanno abilità e talenti sotto utilizzati.





10. Battiti per l'Eccellenza. Jim Stovall Presidente del Narrative Television Network.
Fotografie con dedica di Frank Sinatra, Mohammad Ali, Albert Pujols, Ted Turner, Donald Trump sono alle spalle della scrivania di Jim che dice, “Queste sono persone con cui ho lavorato e che rispetto. Guardarle mi ricorda di battermi sempre per l'eccellenza.”

11. “Una scrivania è un posto pericoloso da cui guardare il mondo.” John le Carré  —Placca nell'ufficio di Louis V. Gerstner, CEO of IBM. 
Vedere un problema, toccare la parte, parlare direttamente con i collaboratori ed i clienti ti regala una visione della realtà che non otterrai mai restando seduto alla tua scrivania. La gente vuole vedere i loro leader coinvolti in prima persona.

12. “Solo perché ha funzionato una volta, non vuol dire che funzionerà di nuovo!” —Scrivania di Shaun Coffey, CEO, Industrial Research Ltd., Nuova Zelanda.
“Ogni situazione è diversa, e questo è vero in modo particolare quando si ha a che fare con il cambiamento. Un intervento che ha avuto particolarmente successo in passato, può non funzionare in una nuova situazione. Può darsi poi che non funzioni neanche se riutilizzato nella stessa organizzazione, perché nel frattempo le persone sono cambiate. Continua a modificare le tue tattiche, mantieniti attento su come reagiscono le persone. Agisci da diverse angolature. Cerca sempre segnali che ti indichino che qualcosa non funziona, e tenta un approccio diverso - non rimanere affezionato alla tua solita modalità operativa.”

13. "E' sempre il tempo giusto per fare la cosa giusta." Martin Luther King Jr. —Placca sul muro di Michael Jansma, Presidente GEMaffair.com.

I leader lottano costantemente per i loro valori e per le cose in cui credono. Non è una di quelle cose "da una botta e via". 



14. “I Leader dovrebbero essere capaci di Sopportare la Solitudine, Resistere alle Critiche, Affrontare il Dolore, Dire la Verità, e fare la Cosa Giusta" Max DePree —Placca nell'ufficio di Brian Morehouse, coach di basket Hope College.
Brian sostiene, “Questa frase contiene tutto quello a cui un leader deve prepararsi nell'affrontare una giornata in termini di coraggio, integrità, focus e perseveranza.
Come si può ricavare da queste frasi, i leaders hanno un atteggiamento positivo e "can-do". Sono ottimisti e credono ci sia del talento nascosto in ogni essere umano. Il loro entusiasmo crea energia ed eccitazione, alle volte possono avere dei momenti di "down", ma non interpretano mai il ruolo della vittima, si assumono sempre la loro responsabilità. Hanno fiducia in sè stessi e nelle persone attorno a loro. A guardar bene queste frasi parlano di:

 Atteggiamento

 Comunicazione di Grandi Idee

 Cambiamento dello Status Quo 

 Definire gli Obiettivi

 Affrontare i Problemi - Prendere Decisioni 

 Agire - Far Accadere le Cose





 Vivere i Propri Valori




E voi, ci avete mai pensato ai vostri "guiding principles"? Alle volte converrebbe mettere da parte lo scetticismo e prendersi del tempo a pensare cosa possiamo fare per continuare a migliorare. Buon lavoro.

21 novembre 2010

Qualche grattata di tartufo

Una delle cose che mi ha sempre lasciato a bocca aperta è la tendenza che hanno i giornalisti di certe riviste  a recensire i ristoranti più alla moda attraverso le proposte dei loro menù. E allora finisce che ci ritroviamo con frasi come questa, ripresa fedelmente da un settimanale di informazione: 
"Perfettamente equilibrata l'insalata di trota salmonata al pepe e verdure, cui fa da controcanto quella di coniglio e, in stagione, di funghi. Con qualche grattata di tartufo il costo sale (ma fin qui la stagione non è delle più feroci)...”. Ecco allora un menu di due portate:
1°_ quando il tuo capo ti propone una promozione e te la vende con tutto sé stesso, ti manda all'estero dove finisce che devi riportare a quello che oggi è un tuo collega, a tutti gli effetti pari grado, e tu accetti con la consapevolezza che sì, è uno step back, ma lo accetti pur di levarti di torno da quel contesto dove hai lavorato una vita, ma che ormai non senti più tuo. Insomma, viene da chiedersi come descriverebbe il critico di cui sopra il menù che hai scelto. Probabilmente il Take-Away.
2 _ il candidato è uno di quelli che ‘si fa cadere dall’alto’. Dopo una prima forte manifestazione di interesse inizia a rispondere con lentezza alle sollecitazioni, tira lungo il processo. Più di una volta, visto che ora è un consulente, dice che deve farsi fare i calcoli dal commercialista sul rapporto tra il suo reddito attuale (oggi medio) e quello eventuale da dipendente (che diventerebbe medio-alto). Terminato il giro di incontri ne chiede uno ulteriore per capire i sistemi dell’azienda, vorrebbe poi rivedere le persone con cui dovrà lavorare e alla fine...rifiuta l’offerta. Mi dice che “da qualsiasi parte la giro, c’è qualcosa nel ruolo che non mi convince, ma soprattutto non mi convince il passare dalla consulenza all’azienda." 
“Ma dottore - gli faccio, esausto - non ci poteva pensarci prima? Ma soprattutto non poteva evitare di arrivare all’offerta? In questo modo credo si rende conto da solo di aver fatto perder tempo a tutte le persone coinvolte.” “Eh, si - mi fa - me ne rendo conto e me ne dispiace.” Punto e basta.
Che faccio, lo strozzo? Non posso, poi per telefono mi viene male, ma non mi perdo l’occasione di dirgli che non lascia di certo una buona impressione dietro di di sé. E lui cosa fa? Sentitosi alle strette, forse pentito o spaventato dalla brutta figura, chiama il Direttore Marketing dell’azienda che gli ha appena fatto la proposta e quello che sarebbe potuto essere il suo eventuale capo, che fa? Chiama l'HR e il giorno dopo gli vuole offrire 5.000 euro in più. 
Eh sì, è proprio vero che con qualche grattata di tartufo il costo sale...

14 novembre 2010

La Soprendente Scienza della Motivazione

Se volete che persone performino meglio bisogna dargli delle ricompense, giusto? Bonus, commissioni, incentivi, certo tutto corretto fino ad ora, ma che cosa succederebbe se dovessimo scoprire che i cosiddetti motivatori contingenti - quelli che si basano sul principio del "se fate questo avrete quello"- che hanno funzionato fino ad oggi, non danno più nella realtà i risultati sperati?
Questo è una delle scoperte più forti della scienza comportamentale moderna, ma anche una delle più ignorate dal mondo delle aziende. E infatti esiste una discrepanza tra quello che la scienza conosce e ciò che invece fa il business fa, tra le cosiddette scoperte e le azioni messe in pratica dalle grandi Corporations. 
Se andiamo infatti a guardare il mondo delle aziende, questo tende a basarsi in larga parte sul meccanismo delle motivazioni intrinseche, quello del bastone e della carota per intenderci, che sì ha funzionato benissimo nel 20° secolo, ma sulla cui attualità nel 21° secolo è giusto farci qualche domanda.
I rewards, le ricompense, sono disegnate per farci concentrare sul raggiungimento dell'obiettivo, questo è il motivo principale per le quali vengono utilizzate, ma spesso ottengono il risultato di restringere il focus della nostra attenzione e riducono la vista periferica, quella più ampia, e di certo per i problemi che stiamo affrontando nel mondo di oggi abbiamo bisogno di tutto meno che di una visione limitata al nostro singolo obiettivo.
Una ricerca della London School of Economics, dall'osservazione di 51 studi sui sistemi di Pay for Performance in voga in grandi gruppi multinazionali,  ha rilevato che il sistema degli incentivi finanziari può risultare in un impatto negativo sulla performance generale (questo  il link con il contenuto dell'articolo http://management-issues.com/2009/6/25/research/performance-related-pay-doesnt-encourage-performance.asp)
In sostanza, l'osservazione della fotografia ci dice che buona parte delle organizzazioni prendono delle decisioni sui loro Talenti, e sulle loro risorse in generale, basate su supposizioni, su idee non più al passo con i tempi, non esaminate in profondità o, peggio, basate più sul folclore che sulla scienza. 
Come migliorare allora la perfomance della nostra organizzazione? Innanzitutto bisogna resistere alla tentazione di fare di più di quello che stiamo facendo oggi, di aumentare la quantità delle cose sbagliate che immettiamo nel sistema, di allettare le persone con una carota più dolce, o di minacciarli con un bastone più lungo.
La buona notizia è che c'è un approccio nuovo che la scienza ci propone, un approccio basato sulle motivazioni intrinseche delle persone, sul desiderio di fare qualcosa perché è importante per me, perché significa qualcosa, perché mi piace o mi interessa. 
E questo nuovo sistema operativo può essere costruito su tre elementi:
- Autonomia: la spinta a guidare la propria vita 
- Maestria: il desiderio di essere sempre migliori in qualcosa di importante per noi
- Senso di Scopo: l'anelito a fare quello che facciamo per servire qualcosa di più grande di noi stessi.


Volete saperne di più? Allora date un'occhiata a questo video di Daniel Pink, autore provocatorio sull'evoluzione del mondo del lavoro. Cliccate sul link e, ...godetevi la visione!

7 novembre 2010

Il Leader è il Chief Energy Officer dell'Azienda

Si, avete letto bene, essere il leader equivale ad essere il Chief Energy Officer. Il punto di partenza di questo concetto è che i manager ed i dipendenti condividono la stessa idea sbagliata, folle, ovvero che gli esseri umani operano allo stesso modo dei computer: continuamente, a velocità sempre più spinte, e magari gestendo diversi programmi contemporaneamente. In realtà noi esseri umani siamo disegnati per pulsare. Si, pulsare, siamo più produttivi quando ci muoviamo in modo ritmico tra l'utilizzare ed il rinnovare la nostra energia per soddisfare quattro dei nostri bisogni chiave: fisico, emotivo, mentale (nel senso dell'espressione di sé stessi) e spirituale (il significato che diamo alla vita).
In questa cornice uno degli aspetti fondamentali del ruolo del leader è quello di reclutare, mobilitare, inspirare, focalizzare, dirigere e alimentare regolarmente l'energia di coloro che guidano.
L'energia, dopo tutto, è contagiosa, ed il modo in cui ci sentiamo - come leader -  in ogni specifico momento influenza profondamente il modo in cui le persone che lavorano per noi si sentono. E come loro si sentono influenza profondamente il modo in cui performano, nel bene e nel male. La responsabilità di un leader, dovrebbe essere risaputo, non è quella di fare il lavoro al posto dei suoi collaboratori, ma piuttosto di favorire, in ogni modo possibile, la loro possibilità di dare il meglio di sé sul lavoro ogni giorno.
Pensate un attimo ai capi che avete avuto. Quali aggettivi vi vengono in mente per descrivere quelli di loro che sapevano mobilitare in voi energie positive? Ecco le dieci risposte più comuni da una ricerca fatta negli USA: 
  • Incoraggiante  
  • Ispiratore
  • Gentile
  • Positivo
  • Calmo
  • Di sostegno
  • Leale
  • Risoluto
  • Sveglio
  • Visionario
Se ci fate caso solo tre di queste qualità hanno a che fare con l'intelligenza. Più di due terzi sono qualità emotive - e sono tutte positive. Nessuno dice mai "Adoravo il mio capo quando si arrabbiava come un animale. Mi dimostrava quanto ci teneva a me...". 
Le emozioni negative possono portare ad una azione immediate, ma non ispirano mica le persone a lungo termine. E anche quando si presenta in piccole dosi, l'energia negativa miete molte vittime in azienda.
Quindi l'utilizzo regolare di energia positiva può trasformare un posto di lavoro in pochissimo tempo. Ed in uno studio approfondito di due ricercatori americani, Bruce Avolio e Fred Luthans  su più di duecento studi sulla leadership, solo una qualità tra i leader ha dimostrato di avere, con consistenza, un impatto positivo sui propri collaboratori. Si tratta della capacità di riconoscere il potenziale, anche quello più nascosto che le persone non erano in grado di vedere in sé stessi. Messa in un altro modo. 
I leader migliori utilizzano la propria energia positiva per aumentare la fiducia dei propri collaboratori nelle loro capacità e per alimentare il loro ottimismo e la perseveranza, anche davanti allo stress ed alle inevitabili battute di arresto. 
Questa fiducia dal leader è assolutamente inebriante. E ognuno di noi (se è stato fortunato) sa di che cosa stiamo parlando, perché magari l'ha vissuta con un capo in particolare. Personalmente ho avuto la fortuna di avere capi del genere (aimé devo dire più spesso americani o inglesi piuttosto che italiani), ma oggi vedo con piacere molti manager miei amici - sicuramente più numerosi tra quelli della 'nostra' nuova generazione -  che sanno gestire le proprie persone con calore ed entusiasmo. Il leader guida quindi non solo attraverso le sue azioni, ma anche con il modo con cui ci fa sentire. E non sono i falsi elogi, quelli freddi e senza entusiasmo che le persone cercano, ma piuttosto la semplice riconoscenza per aver fatto un buon lavoro o per uno sforzo aggiuntivo. 
E voi, che tipo di capo siete? Avete il coraggio di chiederlo ai vostri collaboratori? Provateci - è il modo migliore per avere del feedback istantaneo su che tipo di esperienza i vostri collaboratori stanno vivendo con voi. Buona fortuna!
Ma attenzione però, questo non vuole essere un invito al buonismo, nè un'apertura ai fautori del management del 'volemose bene' che poi, dopo la prima fiammata, iniziale si esaurisce per tornare all'interno dei soliti schemi comportamentali. Questo vuole solo essere un invito alla riflessione, al ricordarci che il senso del nostro lavoro sempre di più combacia con il senso del nostro vivere. Ed è dai comportamenti positivi che si trovano energie mobilizzanti. Per gli altri, certo, ma anche per noi stessi. 

31 ottobre 2010

Cosa vogliono i Job Seekers Italiani? Quello che vuole l'Italia.


Visto che è tempo di Halloween e una palla di cristallo per leggere i trend fa sempre comodo averla (soprattutto quando si parla di lavoro) vi parlo volentieri di una presentazione a cui ho assistito con piacere (ben fatto Nicola ;-)) su chi sono e cosa cercano i Job Seekers Italiani. 

Leggendo bene tra i dati (lo so questa è la parte noiosa, ma i dati quando ci sono e quando sono significativi come questi, vale la pena mettersi a darci un'occhiata), si nota come nella popolazione dei giovani, sia quelli appartenenti alla generazione Y - età media 25 anni, per capirci - sia i loro colleghi della Generazione X - età media 30 anni - sia scarsissima sia la propensione alla flessibilità lavorativa che la propensione alla mobilità.
Ora, questi dati non dovrebbero sorprendono più di tanto né l'HR esperto né, tanto meno, il cacciatore di teste abituato a veder franare candidature interessanti per ruoli eccezionali solo perché la location "era lontana da casa...", ma l'aspetto che colpisce di più è che rispetto al mondo, rispetto alla cultura globale che sta facendo della flessibilità la sua bandiera e della mobilità cross-country il suo credo, l'Italia dei giovani pare impermeabile.
A pensarci bene, magari, questa fotografia è figlia di una Italia che si mostra come un paese rallentato, e che per questo sta accumulando dei gravissimi ritardi in Europa e nel mondo a causa di un sistema politico la cui inefficacia è sotto gli occhi di tutti (provate solo un attimo a pensare, voi, di gestire un'azienda nello stesso modo in cui vediamo gestire la cosa pubblica e ditemi quanto tempo resistereste sul ponte di comando prima di essere gentilmente invitati alla porta). Un'Italia pubblica che alle parole di Marchionne alla trasmissione di Fazio domenica scorsa, ha solo saputo produrre una reazione comune bollando l'intervento come provocatorio, grave o, peggio, pesante. Eppure non ce n'è stato uno, ma uno solo dico, che abbia sentito dentro di sé forte l'istinto di alzarsi e di urlare a tutti: "ragazzi tiriamoci su le maniche!" Perché davanti al problema concreto di una nazione che è a l 118° posto su 139 per efficienza della lavoro ed al 48° posto per competitività industriale, se non ci diamo una mossa forse qui son guai.Di quelli seri.
E allora forse questi giovani hanno bisogno di molto più aiuto di quanto la sola lettura di questa slide possa far pensare.


24 ottobre 2010

Il Personal Branding & l'HR

Il Personal Branding è il processo attraverso il quale le persone e le loro carriere vengono concepite come brand, come marchi completi di promesse di performance e risultati. E se fino ad oggi tutte le tecniche di sviluppo personale si basavano sul cosiddetto self-improvement, il concetto di personal branding suggerisce invece che il successo personale è una funzione anche del self-packaging. Questo include, ma non è ovviamente limitato, il nostro corpo, il modo in cui ci vestiamo, la nostra apparenza e (finalmente...) le conoscenze e/o competenze contenute nel 'prodotto' che siamo, con il risultato finale che il tutto porta all'impressione personale che la comunità più estesa ha di noi. Il primo a parlarne è stato Tom Peters nel 1997, in un libro culto, "The brand called You" (http://www.fastcompany.com/magazine/10/brandyou.html) all'interno del quale Peters suggeriva che, qualsiasi sia la mia estrazione sociale o età, io sono di fatto il presidente, amministratore delegato e responsabile Marketing dell’azienda chiamata “Io Spa”. La mia reputazione e la mia credibilità si definiscono tramite la qualità del mio lavoro attuale e passato e determinano la qualità del mio lavoro futuro. 
Da allora l'argomento ha continuato a svilupparsi. Ma attenzione, non è solo di reputazione che stiamo parlando, il contesto qui è molto più ampio. In un certo senso la reputazione, in quanto valutazione sociale che un gruppo ha verso una persona, per quanto quella persona debba lavorare sodo per costruirsela, è qualcosa rispetto alla quale si finisce per essere passivi, mentre il personal branding va oltre, in quanto ha in sé fortissimo l'aspetto promozionale. 
Ora, cosa se ne può fare l'HR del personal branding? Tantissimo.
Sappiamo tutti che la 'nostra' funzione gode a malapena di un buon nome tra i suoi stessi membri, e se andiamo fuori dal ristretto cerchio degli HR non sono poche le critiche. Per non parlare poi della visibilità, tutto sommato limitata, di cui la funzione gode. Pensateci un attimo, quando è che oggi che HR diventa visibile nel nostro paese? O quando si tratta di grandi o piccole ristrutturazioni (vedi il caso Fiat a Melfi e tutti gli altri piccoli casi di cui danno notizia i giornali locali), oppure, se ci va bene, si parla di noi nelle poche occasioni in cui le aziende assumono, ed allora ecco che si accendono i riflettori. Ma tra questi due estremi il buio.
Cosa fare allora? Beh, proviamo innanzitutto, come si fa quando si ha una marca, un brand, a disposizione, a segmentare il mercato di riferimento della funzione HR. Chi è il nostro cliente? 
C'è quello interno, ovvero l'azienda stessa dove si opera, ok, poi c'è il mondo esterno, quello delle Istituzioni, quello sindacale, quello dei consulenti, va bene, ma c'è un mercato più vasto? Certamente si, c'è il Mondo là fuori! E se internamente la credibilità l'HR in gamba se la costruisce accompagnando e guidando il business nel presente e verso il futuro, esternamente, quanto più siamo capaci di lavorare verso la credibilità e la professionalità della funzione, tanto più sale il nostro gradimento nei clienti.
E se è vero, come è vero, che il futuro è radioso per quelli di noi che sanno gestire le proprie carriere nello stesso modo in cui le aziende gestiscono il loro business, noi per primi dobbiamo essere assolutamente consapevoli di cosa abbiamo da offrire come funzione e con quali benefici, dobbiamo impegnarci nell'aumentare la comunicazione all'esterno, fare in modo che il nostro brand sia sempre in prima linea, ed assicurarci di saper sempre mantenere quello che il nostro brand promette. 
Facendo attenzione alle insidie dell'Ego, il nostro peggior nemico in questo momento.

17 ottobre 2010

The Secret Agent




Spesso prendo di mira candidati sui generis, impreparati o con un comportamento non proprio adeguato quando applicato ad un processo di selezione. Ma che dire quando ad avere tutte queste caratteristiche assieme sono delle aziende? Un paio di esempi real life, as usual.
L'Azienda N°1 il candidato ideale lo incontrano attraverso la prima shortlist, ad aprile. È evidente a tutti che sia quello giusto "ma già che ci siamo vediamone altri..", in totale viene screenato tutto il mercato delle aziende che hanno quella figura (30 aziende o giù di li), vengono contattati tutti i 50 potenziali candidati, ed alla fine ne vengono presentati i circa 15 che presentano quelle caratteristiche richieste. Siamo a maggio. L'azienda in questione che fa? Tentenna, cincischia, perde tempo ed alla fine - arriviamo a settembre - fa una proposta salariale al "candidato ideale", che per il ruolo dovrebbe spostarsi a Milano, alla fine quasi alla pari. Risultato, ovvio, lui rifiuta. Chi ha perso? Entrambi.  
L'azienda N°2 invece ha una bellissima posizione, che è nuova per lei, deve quindi andare a prenderla sul mercato. Trova il candidato per lei giusto, Dirigente a 90k, come da brief, ma...poiché gli verrebbe proposto, per "dimostrare la sua reale volontà di entrare in azienda e  di credere nel progetto" di iniziare come Quadro a 60k, "e poi se vali ti facciamo crescere.." alla fine - d'accordo con l'HR non trasmettiamo questo messaggio - lui si ferma e noi andiamo avanti con la ricerca. 
Certo, una differenza tra queste due aziende c'è: la prima è la classica supermultinazionale dove l'HR si è reso leggermente complice, non guidando la linea ma, al contrario, essendone guidata. Nella seconda, più imprenditoriale, l'HR è vittima. 
Come le vogliamo chiamare queste realtà? Qualcuno ha suggerito "aziende diversamente HR".

25 settembre 2010

Did You Know?

Stimolo o Risposta?

Stìmolo: dal lat. STIMULUS detto per STIGMULUS pungiglione, composto dalla stessa base del gr. STIG-MA puntura, STI-ME punto. Tutto ciò che serve ad eccitare, tale il pungolo per spingere gli animali e particolarmente i buoi ad arare; metaf. Impulso, Incentivo, Molestia, Tormento.
Per uno/una con “la testa HR” tutto è stimolo…tutto è pungolo per aiutare a salvare il mondo da un HR mediocre.
Can you help?